Danni Punitivi – Commento alla Sentenza Cassazione SS.UU. 16601/2017

Danni Punitivi – benvenuti in Italia, finalmente!

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 16601 del 05.07.2017) ha definitivamente sdoganato l’applicabilità anche nel nostro ordinamento dell’istituto giuridico d’origine anglosassone dei cosiddetti “Danni Punitivi” (Punitive damages, o exemplary damages).

La decisione, riconoscendo pieno diritto di cittadinanza ai maxi-risarcimenti anche nel sistema giudiziario italiano, risolve una questione, ritenuta di massima di particolare importanza, attraverso il visto apposto dalle Sezioni Unite alla possibile delibazione di una sentenza straniera che contenga un risarcimento dei danni in forma (anche) punitiva, dopo decenni di fermo rifiuto della Suprema Corte a dare accesso nel nostro paese a questa categoria di ristoro ultra-compensativo dei danni, e rappresenta un radicale cambio di prospettiva in materia di responsabilità civile ed un decisivo e lungamente invocato passo avanti nella cultura giuridica del nostro paese e nella tutela dei cittadini.

Ma cosa sono i danni punitivi, e perché una parte della dottrina e degli avvocati italiani ne sentiva così tanto la mancanza?

Nel nostro ordinamento (civil law) chiunque subisca un danno illecito ha diritto ad essere risarcito, in termini compensativi, cioè nel limite del pregiudizio che ha subito (o meglio, di quello che riesce a dimostrare al giudice), e non oltre; in altre parole si viene ristorati economicamente del male o della perdita subita, ma non ci si può “guadagnare sopra”. Sono così nate le cosiddette “tabelle” risarcitorie, attraverso le quali si è cercato di dare un valore pecuniario uniforme al danno biologico, esistenziale, da morte etc. Ogni ulteriore finalità attribuita, invece, in altri paesi, al risarcimento civilistico è stata fermamente considerata incompatibile con il principio di separazione tra diritto civile e diritto penale, tradizionalmente vincolando il quantum risarcitorio al pregiudizio sofferto e dimostrato, senza possibilità di alcun riconoscimento economico di carattere sanzionatorio. In questo sistema di liquidazione del danno civile, è del tutto irrilevante la gravità del comportamento del danneggiante, che viene considerata solo nella irrogazione di una condanna più o meno alta, qualora si sia violata una norma penale.

Per dirlo con le parole della Cassazione, fino a ieri, «nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro» (Sent. n. 1183/2007 e n. 1781 del 2012).

Negli ordinamenti di common law, al contrario, in presenza di dolo o colpa grave da parte dell’autore dell’illecito, è riconosciuto al danneggiato un risarcimento economico ulteriore rispetto a quello necessario a compensare strettamente il danno subito (compensatory damages), allo scopo di:

✤  punire l’autore dell’illecito in proporzione alla gravità del suo comportamento (funzione punitiva);

✤  fungere da efficace deterrente nei confronti di altri potenziali trasgressori e/o dello stesso autore dell’illecito, che potrebbe reiterarlo (funzione esemplare);

✤  premiare la vittima per l’impegno profuso nell’affermare il suo diritto giacché, in questo modo, ha contribuito anche al rafforzamento dell’ordine legale (funzione rimunerante);

Ristorando la vittima in misura “tabellare” per il pregiudizio subito con funzione compensativa, tipica della sanzione per illecito civile, si affianca quindi una funzione punitiva, tipica della sanzione penale.

Il meccanismo attraverso il quale è applicato il danno punitivo è generalmente quello moltiplicatorio: tanto più grave è la condotta di chi ha provocato il danno, e quanto più pesante sarà la condanna economica inflitta dal giudice al danneggiante.

Ebbene la nuova pronuncia da parte della nostra Suprema Corte (adottata a Sezioni Unite ed avvalendosi del disposto dell’art. 363 comma 3, c.p.c., proprio perché destinata a risolvere in modo definitivo uno storico contrasto giuridico di massima importanza) prende atto di una progressiva ma inesorabile evoluzione del nostro sistema legislativo interno, come sostenuto anche da molta parte della dottrina, e ridefinisce la nozione di ordine pubblico, verso una maggiore permeabilità nei confronti della legge straniera, del diritto internazionale e soprattutto comunitario, alla ricerca di punto di equilibrio tra il tradizionale controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere che potrebbero minare la coerenza interna dell’ordinamento giuridico e una funzione promozionale dei valori tutelati dal diritto internazionale.

La conclusione è che non è oltremodo possibile negare l’esistenza di numerose norme civili italiane aventi una funzione spiccatamente sanzionatoria e si afferma quindi, per la prima volta ma al massimo livello ed a chiare lettere, che, nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.

Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi.

Non può sfuggire che con tale riconoscimento si stabilisce un principio che va ben oltre il caso di applicazione della sentenza straniera nel nostro paese, estendendosi il principio di diritto ed interpretativo all’intero ordinamento, e svincolando definitivamente la possibilità di utilizzare un meccanismo moltiplicatorio al risarcimento tabellare, collegando la misura della liquidazione non solo al danno subito, ma (anche) alla gravità del comportamento del danneggiante, qualora ci si trovi in presenza di un evidente squilibrio di forze tra le parti coinvolte nel risarcimento, come in effetti molti giudici di merito hanno già fatto in diverse sentenze nazionali.

Ma quali sono le ragioni per le quali dovremmo accogliere a piene mani nel nostro paese l’istituto anglosassone dei danni punitivi, considerato dai molti detrattori una rischiosa frattura del sistema risarcitorio, fonte di speculazioni abnormi, aumento della litigiosità e di risarcimenti iperbolici che potrebbero mettere in ginocchio aziende e un intero sistema produttivo. Sono solo famelici avvocati e danneggiati in cerca di fortuna a invocarne l’applicazione in Italia? oppure, come sostenuto da altrettanto autorevoli voci, i risarcimenti punitivi (od esemplari, come preferiamo indicarli) sono un fondamentale correttivo nei casi di mass tort (ossia un macro-evento catastrofico che provochi molte vittime, ovvero una serie di micro-eventi ripetitivi che crei una molteplicità di danni indifferenziati agli utenti) e della evidente mancanza di tutela degli consumatori in presenza di una insanabile disparità e/o abuso di posizione dominante tra danneggiato (vittime) e danneggiante (multinazionali)?

Quello dell’indebito arricchimento da parte dei cittadini e dei consumatori è un falso problema, un timore decisamente infondato, assolutamente immotivato nelle fattispecie di mass tort, in quanto in tali circostanze il confronto non è tra due parti private, tra due individui di pari grado e dimensione economica, due o più persone, o soggetti alla pari: la applicabilità dei risarcimenti punitivi è destinata infatti ad emendare la possibilità che un ente od una azienda possano conoscere l’esistenza di un rischio, di un difetto in un prodotto, della mancanza di sicurezza per gli utenti, e conseguentemente sia consapevole della concreta possibilità di generare un danno continuando la propria attività, e tuttavia, potendo fare a tavolino il calcolo “tabellare” dei danni potenziali ed “attesi”, preferisca non adottare un correttivo, privilegiando l’interesse al guadagno (o risparmio) di milioni di euro, attuando per anni una politica del risparmio, scegliendo la massimizzazione dei ricavi, il disinteresse alla prevenzione, la gestione omertosa degli incidenti, dello spettacolo che deve continuare, sempre e comunque, a prescindere dalla sicurezza dei cittadini, i quali si ritrovano quindi ad essere vittime inerti di grosse aziende e multinazionali.

Per capire l’origine e la ragione sociale alla base dell’assoluta validità del sistema dei danni punitivi è esemplare il famosissimo caso giudiziario statunitense Stella Liebeck vs. McDonald’s Restaurants (1994); una donna di 79 anni versandosi addosso una tazza di caffè di McDonald aveva subito ustioni di secondo e terzo grado sulle cosce, glutei, inguine e genitali, tanto gravi da necessitare innesti cutanei. La Liebeck ha citato in giudizio McDonald’s per essere risarcita dei danni soprattutto in termini compensativi, ma, durante il processo, i documenti interni della multinazionale rivelarono che la società aveva ricevuto centinaia di reclami da parte di clienti che lamentavano che il caffè di McDonald’s causava gravi ustioni, ma questa non aveva mai ridotto l’alta temperatura dell’acqua sostenendo che invece la maggior parte della gente amasse il caffe di McDonald’s proprio perché era super-caldo.

Questo convinse la giuria che i vertici della McDonald’s sapessero che il loro prodotto era potenzialmente pericoloso ma che la società non aveva fatto nulla per correggere il problema, semplicemente perché gli conveniva economicamente risarcire (in termini tabellari) qualche ustionato, continuando a vendere milioni di tazze di caffè in tutto il mondo. Il Tribunale ha liquidato quindi $ 200.000 in danni compensativi (ridotti a $ 160.000, per 20% della colpa attribuita alla Liebeck), e 2,7 milioni di dollari in danni punitivi, che era al momento la somma pari a due giorni di ricavi di vendita di caffè McDonald’s (successivamente ridotti a $ 480.000).

Il caso è stato aspramente criticato per l’elevata quantità di danni che la giuria ha assegnato alla vittima, e la stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia qui in commento, ha posto un decisivo freno al riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere, dovendo rispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità̀ delle ipotesi di condanna, la prevedibilità̀ della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità̀ con l’ordine pubblico.

Anche questa riserva da parte dei nostri giudici, però, è da considerarsi di fatto superata in quanto da tempo la Corte Suprema degli Stati Uniti è intervenuta per porre freno all’entità dei danni punitivi, stabilendo che devono essere comunque proporzionati alla gravità del comportamento del danneggiante, e non superiori a dieci volte l’entità del danno effettivo (sentenza del 7-4-2003 nella causa State Farm Mutual Automobile Insurance Co. Vs. Inez Preece Campbell). L’incompatibilità dovrà allora essere rilevata non in automatico, ma “solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme”, ossia all’esito di una valutazione operata in concreto dal Giudice della delibazione.

Quello cui in finale aspira il modern trend di apertura ai danni punitivi, non è il riconoscimento di risarcimenti speculativi a favore di un singolo, ma semmai il ripristino di un equilibrio tra chi ha guadagnato a discapito di un rischio conosciuto e la vittima ignara del danno “atteso; impedire che alla fine del processo il risultato ottenuto non finisca li e svolga invece una azione esemplare e di deterrenza anche nei confronti delle altre aziende, che una persona che ottenga giustizia rafforzi l’intero sistema, ed una cosa del genere non accada mai più, instaurando un meccanismo economico d’incentivo alla prevenzione.

Il soggetto danneggiante a quel punto interverrà prontamente per ridurre/eliminare il rischio, semplicemente perché non sarà più economicamente vantaggioso rimanere esposti a risarcimenti punitivi ulteriori e sempre più inflittivi. Le regole della responsabilità civilistica sono efficienti, cioè, quando inducono gli agenti a livelli di attenzione ottimali, tali da bilanciare i costi d’investimento sulla prevenzione minimizzando i costi sociali dei danni “attesi”.

Alcuni commentatori si sono affrettati a precisare che l’apertura decisa della Cassazione ai danni punitivi nordamericani non significa affatto che da questo momento anche nelle cause nazionali i giudici italiani saranno autorizzati a liquidare un incremento delle somme dovute a titolo di risarcimento punitivo. La sentenza infatti circoscrive gli effetti di una «curvatura deterrente/sanzionatoria» comunque individuabile nella giurisprudenza, anche costituzionale. Per un’applicazione su larga scala servirebbe un intervento normativo, visto che «ogni imposizione personale esige una “intermediazione legislativa”», per effetto del principio costituzionale sancito dall’articolo 23 della Carta Costituzionale, che istituisce una riserva di legge sulla previsione di nuove prestazioni patrimoniali e impedisce un «incontrollato soggettivismo giudiziario».

Da parte nostra, invece, riteniamo che il ragionamento logico e giuridico che ha portato alla definitiva apertura della breccia in tema di risarcimenti punitivi, prima ancora individuato dalla Prima sezione della Cassazione nell’ordinanza di rimando alle SS.UU., ripercorra – e lo diciamo con uno spicco di orgoglio – l’identico percorso normativo illustrato nei nostri atti giudiziari, un po’ in tutti i settori del diritto penale e civile, individuando la molteplice presenza di numerose ed esplicite norme a carattere punitivo, deterrente ed esemplare:

✤      lite temeraria ex art. 96 terzo comma c.p.c.

✤       art. 709 ter c.p.c. in diritto di famiglia (cd. danno endofamiliare)

✤      violazione della proprietà intellettuale, legge sulla stampa, responsabilità medica (decreto Balduzzi e nuova legge)

✤    depenalizzazione ed introduzione della nuova figura di sanzione pecuniaria civile per l’abrogazione di tradizionali norme incriminatrici presenti nel codice penale: – le falsità in scrittura privata (artt. 485 e 486 c.p.); l’ingiuria (art. 594 c.p.); la sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.); l’appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.).

Tale rimodellamento della funzione risarcitoria – apertamente riconosciuto dalla Cassazione – consente di sostenere definitivamente che il danno punitivo non viola l’ordine pubblico, stante anche l’ampliamento progressivo di quest’ultima nozione, e che, oltre ad essere riconoscibili le sentenze straniere che irrogano risarcimenti a titolo sanzionatorio, esiste la possibilità per il giudice italiano di parametrare il titolo risarcitorio alla gravità delle condotte poste in essere da chi quel danno lo ha reso possibile, con i propri comportamenti omissivi e/o commissivi.

E questo in quanto anche al nostro sistema risarcitorio “classico” non è affatto sconosciuta la personalizzazione del danno, ed al magistrato non è in alcun modo precluso di affrontare la quantificazione del danno non patrimoniale secondo questa impostazione, ossia in termini ultra-compensativi, considerandosi che il medesimo si trova a liquidare il danno procedendo ad una valutazione equitativa, la quale implica un apprezzamento di tutte le circostanze del caso (artt. 1226 e 2056 c.c.). In definitiva, come riconosciuto dalla dottrina più illuminata e dalla giurisprudenza più recente, è del tutto inconfutabile come il Giudice, nel determinare l’importo risarcitorio dovuto alla parte lesa, sia nella condizione di poter considerare la gravità della condotta illecita tenuta dal soggetto danneggiante a vantaggio o nell’interesse dell’ente/azienda, e parametrare a questo, in termini equitativi e di personalizzazione del danno, il risarcimento da irrogare a carico del responsabile civile (danno morale aggravato dalla condotta). In tal senso (art. 3 della Costituzione, ed in piena conformità con il rinvio, da parte dell’art. 2059 c.c., all’art. 185 c.p.) nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, deve tenersi conto della gravità dell’illecito penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso specifico.

Quindi starà a chi giudica, l’obbligo di sganciarsi dagli automatismi, dalle tabelle, dalle calcolatrici, facendo piuttosto ricorso al metro dell’equità commisurando le liquidazioni in relazione alla gravità di tutte le condotte, dirette e di contorno, adottare decisioni, ove necessario innovative, in casi in cui, come nella fattispecie di mass tort, la liquidazione tabellare e l’onere della prova sul dato compensativo mostra tutti i suoi limiti, sussistendo invece tutte le condizioni per affermare un diritto, come sopra emarginato, tanto rivoluzionario quanto corrispondente ad un trend progressivamente avviatosi in Italia e in termini più estesi nella cultura giuridica e di tutela del singolo nella intera Comunità Europea, dando un significato vero ed universale ai risarcimenti punitivi e/o esemplari.

Sul punto, il nostro manipolo di audaci è in prima linea da anni, invocando in tanti importanti processi ed a livello nazionale la applicazione di queste forme risarcitorie ultracompensative, ed abbiamo già avuto modo di criticare tante sentenze di merito, definendo alcuni giudici una sorta di “ragionieri del diritto“, per la dimostrata mancanza di coraggio nella possibilità di scardinare un concetto ormai inadeguato e superato del diritto risarcitorio nazionale. Alla luce però della questione appena risolta dalle Sezioni Unite con l’affermazione del principio secondo il quale sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, le Corti di merito non potranno affrontare con altrettanta chiusura mentale il tema dei danni punitivi, e dovranno quantomeno dare una risposta alle perplessità sollevate dalla Cassazione sull’assenza di un divieto esplicito all’applicazione di un tale meccanismo per il risarcimento sanzionatorio e di prevenzione anche nel nostro paese, a fronte del quale, in presenza di gravi e conclamate responsabilità – gravità della condotta del responsabile e sua plurioffensività soggettiva (più danneggiati) e oggettiva (più beni giuridici lesi), natura del diritto leso del danneggiato, natura ed entità dell’eventuale profitto conseguito o atteso dal danneggiante, condizione economica del responsabile, rilevanza economica o sociale dell’attività esercitata dal responsabile, precedenti condanne, in sede civile o penale, a carico del responsabile per condotte analoghe a quelle per cui si procedenon si vede come i giudici italiani potranno sfuggire all’obbligo di adeguamento del risarcimento al caso specifico ed alla gravità delle condotte, attraverso la liquidazione di un danno punitivo, esemplare o aggravato dalla condotta che dir si voglia.

Un bravo a quei “pirati del diritto” come noi, pochi ma buoni, che hanno lungamente e fermamente creduto in questo risultato, ed attendiamo ora con fiducia che, con la via libera a SS.UU. da parte della Cassazione, i risarcimenti punitivi trovino piena cittadinanza anche in molte sentenze di merito dei nostri Tribunali nazionali.

Avv. Massimiliano Gabrielli

Link alla sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 16601 del 05.07.2017

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