Disastri nei grandi trasporti e danni punitivi:la scusa dell’errore umano nell’incidente dei treni in Puglia

Treno-Puglia-incidenteEsiste un denominatore comune in tutti i disastri legati alla industria dei grandi trasporti: l’alibi dell’errore umano. Che si tratti di sciagure ferroviarie, aerei, navali o stradali in genere, la responsabilità principale e la attenzione mediatica viene sempre e subito veicolata sull’errore umano, sul nome del capostazione o dello Schettino di turno, piuttosto che sulla responsabilità di chi, risparmiando sui costi per l’ammodernamento e massimizzando il profitto, guadagna di più, a rischio la vita della gente.

Anche nello scontro fra treni sulla linea pugliese Andria-Corato si è da subito puntato il dito sull’errore di chi avrebbe sbagliato a dare il verde per la partenza di uno dei due convogli, che viaggiavano in direzione opposta su una tratta a rotaia unica.

Ma l’errore umano è notoriamente inevitabile, e non è – al giorno d’oggi – accettabile che le compagnie di trasporti, cui viene affidata quotidianamente la vita di centinaia, ed a volte migliaia, di persone e famiglie, non siano obbligate ad investire in quelle tecnologie e sistemi di controllo minimi, che servono appunto per scongiurare tragedie immani ma evitabili, come quella avvenuta in Puglia.

È inammissibile che disponiamo di una tecnologia a basso costo che permette di controllare praticamente tutto a distanza dal nostro smartphone, eppure due treni, che viaggiano uno contro l’altro SU UNA STESSA ROTAIA PER CHILOMETRI, non siano dotati di un sistema di controllo della percorrenza che in automatico ed in tempo reale non segnali la anomalia ed il rischio collisione, attivando un segnale immediato di emergenza.

Anche perché questa tecnologia esiste, e si chiama SCMT, acronimo di Sistema Controllo Marcia Treno, che interviene in caso di anomalie, condizioni di marcia non sicure, incongruenze sui segnali ferroviari ed eventuali malori od errori del conducente. Un sistema che fin dal 2003 è in uso su tutta la rete RFI di Trenitalia, ma non anche, invece, su tutte le tratte di quasi 3mila km gestite da privati in concessione, come nel caso della linea tra Andria e Corato, sulla quale opera la società Ferrotranviaria: pare costi 17mila euro, meno di mille euro per ogni morto a bordo di quei due treni.

Su queste linee è consentito legalmente operare ancora tramite blocco telefonico tra una stazione e l’altra. Roba da terzo mondo. Un capostazione manda un dispaccio telefonico alla stazione successiva per dare il via al responsabile della stazione successiva. Capistazione ai quali, tagliando il personale, sono state assegnate decine di altre funzioni che prima non erano chiamati a svolgere, abbassando il livello di guardia.

incidente-treni-andria-corato-vito-piccarreta Un appalto da oltre 33 miliardi con fondi europei avrebbe dovuto ammodernare con il raddoppio della linea e le infrastrutture, eppure dal 2007 siamo ancora ancora lontani dalla esecuzione delle opere e allora si viaggia ancora così, praticamente a vista. Perché la legge del profitto e delle lobby in questo settore, quello dei trasporti, prevale sulla normativa di sicurezza, sugli orari di lavoro e formazione del personale e sugli obblighi di manutenzione, grazie ad un sistema di poteri e denaro. Anche il sistema delle certificazioni e delle ispezioni sui concessionari, infatti, lascia seri dubbi sulla affidabilità di questo meccanismo di controllo basato sul fattore umano.

Una storia che si inquadra ancora una volta nella politica del risparmio e della massimizzazione dei profitti che caratterizza tutti i disastri nei grandi trasporti in cui, attraverso i processi penali e le indagini della magistratura, abbiamo constatato che le compagnie sono sicuramente le prime responsabili, per aver preparato il terreno alla tragedia.

CONCORDIA. Il mondo intero da subito e per anni ha attribuito l’intera responsabilità del naufragio, avvenuto a fine 2012, all’errore ed alla codardia di Francesco Schettino, eppure nel processo penale sono emerse chiaramente le enormi responsabilità di contorno della compagnia Costa Crociere, forse ancora più gravi di quelle del comandante, per aver attuato una politica del risparmio sulla formazione equipaggi, mancata manutenzione dei sistemi di sicurezza, aver consentito la pratica degli inchini per farsi pubblicità gratis e per aver gestito la emergenza pensando più al risparmio sul costo dei rimorchiatori che alla salvaguardia della vita dei passeggeri. Ma si è preferito crocifiggere l’uomo, distogliendo la attenzione dalle falle in un sistema che muove miliardi di euro ogni anno.

NORMAN ATLANTIC, il traghetto andato a fuoco tra Grecia e Italia a dicembre 2014 e costato la vita ad una trentina di persone, di cui circa 19 sono dispersi, per sempre. Le responsabilità, anche qui, passano dal fattore umano alle compagnie: le gravissime avarie al sistema antincendio ed una nave stracarica di automezzi e persone che partì con il mare in burrasca, stanno a monte e sono scelte, non legate ad un errore quindi, ma alla politica di massimizzazione profitti di Anek e Visemar navigazione, e di tutte le compagnie traghetti, che operano molto spesso con navi in condizioni più che precarie.

JOLLY NERO, la nave cargo della linea Messina, che nel 2013 ha abbattuto la torre piloti nel porto di Genova, causando la morte di nove persone. Tutti subito sotto processo per l’errore di manovra, Comandante, pilota ed ufficiali. Solo in un successivo filone di indagini, però, si è capito che gli interessi economici per consentire la manovra di mega navi in acque ristrette, sono alla base principale dell’incidente avvenuto in un porto che, a vederla bene, non potrebbe operare con navi del genere, con una torre che è stata costruita senza protezione per non togliere spazio al bacino di manovre, ed una compagnia che usa carrette del mare con motori che, per invertire il senso di marcia, debbono essere fermati e ri-avviati in senso contrario, navigando con tutti i contagiri in plancia non funzionanti e stracariche di container.

Ed ancora l’incidente degli studenti ERASMUS in Spagna, legata al colpo di sonno dell’autista del bus, ma che viene costretto, come tutte le compagnie di trasporto pulmann, a turni di lavoro massacranti ed insostenibili. MOBY PRINCE, con l’assenza di strumentazione di avvicinamento in porto, e gli incidenti aerei avvenuti per colpa di avarie e mancanza di controllo sul personale come nel caso del pilota suicida del volo GERMANWINGS. Le pecche ed errori del personale mal formato, sottopagato ed iper-sfruttato non possono che ricadere sulle compagnie di trasporto che su quei risparmi guadagnano montagne di danaro.

L’errore umano, quindi, non può escludere la responsabilità delle società di trasporto per la gestione dei mezzi e delle linee, ma anzi ne sono l’effetto diretto ed immanente.

danni-punitivi-costa-concordiaEsiste un correttivo processuale che da tempo stiamo cercando di affermare in tutti i processi penali e civili ai quali partecipiamo, un maxi-risarcimento, sul modello statunitense, che tende a sanzionare pesantemente quelle compagnie che, pur conoscendo un malfunzionamento, un rischio od attuando una politica di risparmio sulla sicurezza, non adottano consapevolmente quei correttivi che scongiurino il rischio di un incidente, poi verificatosi. Una condanna economica ultra-compensativa che tende a riequilibrare un sistema ed evitare che le compagnie di trasporti possano farsi il calcolo di quanto possa costare il risarcimento secondo le tabelle normali, e scelgano di rischiare il pagamento dei danni alle vittime in caso di incidenti, piuttosto che investire sui correttivi necessari ad alzare il livello di sicurezza per la vita dei passeggeri.

E l’industria dei grandi trasporti, che ovviamente risponde sopratutto alla legge dei profitti, metta in conto che – a quel punto – conviene investire sui correttivi piuttosto che esporsi ad una ulteriore condanna multi-milionaria. Facendo quello che va fatto, semplicemente perché gli conviene economicamente.

Per dirla in modo più autorevole [1], le regole della responsabilità civilistica sono efficienti, cioè, quando inducono gli agenti a livelli di attenzione ottimali, tali da bilanciare i costi d’investimento sulla prevenzione minimizzando i costi sociali dei danni “attesi”.

I DANNI PUNITIVI NEL NOSTRO PAESE: non è a caso, quindi, che la più recente evoluzione giurisprudenziale di legittimità sembra andare in direzione del riconoscimento, anche nel nostro paese di questa forma sanzionatoria civilistica, con effetti esemplari e di prevenzione: facciamo in particolare riferimento alla decisione della Suprema Corte di Cassazione, Sez. I Civile, che con ordinanza interlocutoria 16 maggio 2016, n. 9978 ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite della questione sui cd. “danni punitivi” nel nostro ordinamento [2], in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza.

L’argomento è di estrema importanza in quanto una buona parte della dottrina e giurisprudenza della Cassazione hanno finora disconosciuto qualsiasi valenza ed applicabilità nel nostro ordinamento dell’istituto dei danni punitivi.

Il ragionamento della Prima Sezione prende le mosse dalle precedenti statuizioni sul principio posto dalla giurisprudenza di non riconoscimento delle sentenze straniere di condanna al pagamento di danni punitivi. Ma l’interrogativo posto dalla Cassazione, nella prevedibile ed auspicabile apertura definitiva da parte delle Sezioni Unite alla figura del danno punitivo, stabilirebbe un principio che va ben oltre il caso di applicazione della sentenza straniera nel nostro paese, ed, è evidente, estenderebbe il principio di diritto ed interpretativo all’intero ordinamento, sdoganando definitivamente la possibilità di utilizzare un criterio moltiplicatorio al risarcimento tabellare, in presenza di un comportamento gravemente lesivo dell’equilibrio tra le due parti coinvolte nel meccanismo risarcitorio (come già in molti processi alcuni Giudici hanno fatto – es. caso Thyssen Krupp, o la recente sentenza del Tribunale di Torino nel caso del crollo liceo Darwin, Tribunale di Roma dott. Moriconi nel risarcimento ex art. 96 cpc etc.)

Puramente e semplicemente, il solo pronunciare il termine “danno punitivo”, ha, infatti, fin qui provocato una totale ed assoluta chiusura ideologica di una certa parte della Giurisprudenza. Eppure, come abbiamo affermato ed illustrato più volte in tutti i processi nei quali introduciamo questa ulteriore domanda risarcitoria, NON È ASSOLUTAMENTE VERO che in Italia non esiste il danno aggravato dalla condotta, non è assolutamente vero che è vietato, non esiste una norma che ne faccia divieto espresso. Anzi, come vedremo nuovamente, è vero il contrario, ovverosia esistono molteplici norme, come esplicitamente concorda con la nostra impostazione logica e giuridica la Prima sezione della Cassazione, che hanno introdotto nel nostro ordinamento delle componenti evidentemente punitive [3].

Tanto più grave è il comportamento, e tanto maggiore sarà la sanzione che deve esser comminata a favore della vittima. La funzione apertamente esemplare e di prevenzione ed il meccanismo punitivo in una tale scelta da parte del legislatore, è di tutta evidenza e non ha bisogno di essere ulteriormente argomentata. La visione correttiva-compensativa della Giustizia, è ormai offuscata e la evoluzione della responsabilità tende invece ad introdurre incentivi per un comportamento efficiente, ovverosia la funzione di indurre chi decide di adottare (od omettere di farlo) un certo comportamento, a considerare i danni che i loro atti, o le loro omissioni, possano cagionare ad altri. Tali danni sono nel gergo degli economisti “costi esterni”. Perciò lo scopo della responsabilità civile, in questa ottica, è quello di internalizzare il costo degli incidenti: se gli incentivi sono ottimali, vittime e danneggianti potenziali mantengono un livello di attenzione e prevenzione che minimizza il costo sociale degli incidenti e dei danni “attesi”.

Il bagaglio delle esperienze, le notizie e l’accertamento sui malfunzionamenti in un caso singolo, acquisiti in un singolo processo giudiziario che arrivi alla affermazione di una responsabilità aggravata dalla condotta di una specifica compagnia di trasporto, condannandola al pagamento dei danni punitivi, si riflette allora sulla intera industria di quel settore, che dovrà tener conto del rischio di dover pagare un maxi-risarcimento per un rischio ormai noto a tutti; adottando i correttivi.

Per questa ragione riteniamo che sia di fondamentale importanza, per la evoluzione del diritto e della tutela giuridica dei passeggeri nel mondo dei grandi trasporti del nostro paese, arrivare ad un pieno ed aperto riconoscimento dell’istituto giuridico del danno punitivo, danno aggravato dalla condotta o, come ci sembra ancora maggiormente indicativo, danno esemplare, proprio perché un incidente, un disastro, un processo ed un risarcimento, fungano da esempio ed aiutino a migliorare il sistema ed evitare il ripetersi di quell’evento. Perché non ci sia più un’altra Concordia, un altro Norman Atlantic, Jolly Nero, treno Andria-Corato e così via.

Avv. Massimiliano Gabrielli


[1] Cfr. “Il dolo, la colpa e i risarcimenti aggravati dalla condotta”, di Di Gino M.d. Arnone, Nicolo’ Calcagno, Pier Giuseppe Monateri.

[2] La Prima Sezione della Cassazione, in particolare, incidentalmente alla questione di riconoscibilità in delibazione di una sentenza straniera, ove questa contenga un’attribuzione patrimoniale e risarcitoria a carattere punitivo (e non compensativo), si è interrogata espressamente ed esplicitamente sull’attuale ed effettiva contrarietà dei danni punitivi al nostro ordinamento interno, alla luce della progressiva evoluzione del concetto di “funzione del rimedio risarcitorio”, da un lato, e del principio di “ordine pubblico”, dall’altro. Alla luce dell’evidente contrasto esistente tra le precedenti pronunzie di legittimità (Il leading case in materia di danni punitivi è rappresentato dalla sentenza Cass. n. 1183/2007, che per fatalità aveva per oggetto, come nel caso di provenienza della ordinanza di remissione alle SS.UU., sempre la delibazione di una sentenza statunitense per product liability di un’azienda produttrice di caschi da motociclette) ha evidenziato apertamente il dubbio sulla negazione della componente sanzionatoria nel nostro sistema risarcitorio, tenuto conto non solo di varie considerazioni di natura comunitaria ed di diritto pubblico, ma soprattutto, ed esattamente ricalcando le ns. argomentazioni in tutti i processi che seguiamo in tema di disastri colposi, la progressiva introduzione normativa di componenti punitive nelle norme processuali.

[3] Tra le molte figure di formante normativo ricordiamo l’art. 96 cpc (responsabilità processuale aggravata), il 709 ter cpc (cd. danni endofamiliari) e, proprio recentemente, la depenalizzazione dei reati quali la ingiuria e la falsità in scrittura privata, che – tutti – parametrano la sanzione civilistica ed il risarcimento subito dalla vittima di un danno ingiusto, non in termini compensativi e ristorativi del danno concretamente subito e dimostrato dalla parte offesa, ma bensì al comportamento – più o meno grave – di chi quel danno lo ha provocato.

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