La violazione dell’art. 650 c.p. macchia la fedina penale?

COVID 2019  e violazione del DPCM Coronavirus con l’art. 650 c.p.

In questi giorni di drammatica emergenza sanitaria la domanda più rivolta agli avvocati è “Quali conseguenze penali posso subire per essere uscito di casa senza un giustificato motivo (comprovate esigenze lavorative, stato di necessità e motivi di salute)?”

Il rischio è quello di essere indagati per violazione della contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p., ovvero inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, la quale è punita con l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 €.

Per questo genere di reati solitamente la Procura della Repubblica emette un decreto penale di condanna che comporta l’effetto premiale della diminuzione sino alla metà della pena pecuniaria.

E’ bene evidenziare, però, che il decreto penale di condanna costituisce un precedente penale a tutti gli effetti, anche se non è menzionato ex lege nel certificato penale a richiesta dei privati rimane nel casellario giudiziario consultabile dalle autorità giudiziarie.

Il soggetto incorso nella violazione di cui all’art. 650 c.p. può opporsi al suddetto decreto penale di condanna e chiedere di estinguere il reato tramite oblazione, ovvero con il pagamento di una cifra pari alla metà dell’importo della multa. Anche in tal caso la sentenza non sarà menzionata nel certificato penale richiesto da privati, ma rimarrà in quello a disposizione dell’autorità giudiziaria con la dicitura reato estinto.

Nonostante la pena non sia, quindi, particolarmente severa il cittadino non deve sottovalutare le altre conseguenze derivanti dalla suddetta violazione.

In primis la “traccia” che un decreto penale di condanna lascia sul casellario giudiziario, i cui provvedimenti da iscrivere sono elencati nel D.P.R. n. 313 del 2002, comporta delle conseguenze in caso di successivi procedimenti penali.

Se è pur vero che il Giudice valuta sempre i precedenti di un soggetto per determinare una pena, è anche vero, però, che lo status di recidivo si ha solo quando sia instaurato un nuovo procedimento penale a carico del reo, dopo che questi abbia già riportato in precedenza una sentenza di condanna definitiva per delitto doloso.

In conclusione la grave conseguenza di essere in futuro dichiarato recidivo non è tra gli effetti previsti dalla violazione della contravvenzione ex art. 650 c.p., ma rimarrà il provvedimento – sia esso decreto penale di condanna o sentenza di estinzione del reato per intervenuta oblazione – nel casellario giudiziario

D.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122

Il casellario giudiziario e il suo contenuto è un tema che suscita molto interesse a chiunque si trovi coinvolto in un procedimento penale ed è quindi utile fare chiarezza sull’argomento, riportando le più importanti novità legislative.

Con la c.d. Riforma Orlando sono state date disposizioni, tramite Legge delega, in merito alla necessità di rimodulare i limiti temporali per l’eliminazione delle iscrizioni delle condanne per fatti di modesta entità, quali quelle irrogate con decreto penale, con provvedimento della giurisdizione di pace, con provvedimento applicativo della pena su richiesta delle parti, per pene determinate in misura comunque non superiore a sei mesi, in modo tale da favorire il reinserimento con modalità meno gravose.

Invero il D.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 non ha attuato la suddetta previsione e pertanto sarebbe necessario un intervento più incisivo nella materia in oggetto, concependo una effettiva e migliore rimodulazione temporale dell’iscrizione relativa alle condanne per fatti di lieve entità.

Con il D.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 sono state introdotte, però, altre molteplici novità in tema di casellario giudiziale.

Casellario Giudiziario

In particolare il Decreto in esame aggiunge all’interno dell’elenco dei provvedimenti iscrivibili anche le sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova ai sensi dell’art. 464 septies c.p.p.

Ulteriore intento del legislatore è quello di adeguare la normativa a due delle esigenze richiamate nella Legge delega: allineare la disciplina, con riferimento ai tempi di eliminazione delle iscrizioni, all’attuale durata media della vita umana e conformare la stessa alle regole del casellario giudiziale europeo.

Con riferimento al casellario giudiziale, tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso una integrale revisione del comma 1 dell’art. 5, D.P.R. n. 313/2002, il cui contenuto è stato sostituito dalla previsione secondo cui le iscrizioni nel casellario giudiziale sono eliminate decorsi quindici anni dalla morte della persona alla quale si riferiscono e, comunque, decorsi cento anni dalla sua nascita. In tal modo, si determina un significativo discostamento rispetto alla precedente formulazione che prevedeva, invece, la cancellazione dell’iscrizione alla morte del soggetto e comunque il mantenimento della stessa fino al compimento dell’ottantesimo anno di età.

Sotto diversa prospettiva, l’art. 2, D.lgs. n. 122/2018 rivisita, altresì, il regime di eliminazione delle iscrizioni del casellario dei carichi pendenti.

In tale ottica è stato soppresso il riferimento al raggiungimento di un determinato limite di età (ottanta anni) per cui si evince adesso che l’eliminazione dell’iscrizione può avvenire nella sola ipotesi di decesso del soggetto intestatario della stessa.

Certificato del casellario giudiziale

Prima delle ultime modifiche, l’impianto amministrativo dei servizi certificativi risultava alquanto complesso, contemplando tre diverse tipologie di certificati rilasciabili su richiesta dell’interessato: il certificato generale, quello penale e quello civile. Con la riforma, invece, le tre originarie tipologie di certificati, rilasciabili su richiesta dell’interessato, vengono unificate in un unico modello certificativo avente la seguente dicitura: certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato.

Trattasi di un’unica tipologia di certificato rilasciabile all’interessato senza che questi sia tenuto a motivare la richiesta, contenente tutte le iscrizioni presenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato individuo. Inoltre, è opportuno specificare che, a norma del nuovo comma 1-bis, l’art. 24 prevede adesso che il certificato rilasciato al cittadino italiano debba contenere l’attestazione circa la sussistenza di iscrizioni nel casellario giudiziale europeo.

L’art. 4 del Decreto legislativo in questione per quanto riguarda i certificati richiesti dai privati e quelli per le pubbliche amministrazioni o i gestori di pubblici servizi stabilisce che, in calce al certificato del casellario giudiziale e a quello del casellario giudiziale europeo, debba essere necessariamente indicato se esistono o meno condanne, rispettivamente, in ambito europeo e in ambito nazionale. La ratio sottesa alla modifica in parola è quella di assicurare la reciproca completezza delle relative certificazioni, nel rispetto delle regole di menzionabilità vigenti in ciascun Paese di condanna.

Dopo aver fissato come regola generale quella di menzionare nel certificato tutte le iscrizioni presenti nel casellario, l’art. 24 del Testo Unico individua anche una serie di provvedimenti rispetto ai quali è prevista espressamente la “non menzione” all’interno del certificato stesso.

Una prima novità riguarda la previsione secondo cui non devono essere menzionate nel certificato in parola le sentenze che applicano la pena ai sensi dell’art. 445 c.p.p. allorché la pena irrogata non superi i due anni di detenzione ed escludendo dal beneficio della non menzione il c.d. patteggiamento allargato.

Inoltre, all’interno del certificato non devono essere menzionate l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464 quater c.p.p.) e la sentenza che dichiara estinto il reato per esito positivo della stessa (art. 464 septies c.p.p.).

Merita un plauso la scelta di escludere la menzione dal certificato richiesto dal privato dei provvedimenti concernenti l’istituto della messa alla prova.

Inoltre il legislatore è intervenuto sul contenuto del certificato dei carichi pendenti rilasciati su richiesta dell’interessato, nel cui contenuto è previsto adesso che non figurino i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis c.p. e i provvedimenti concernenti l’istituto della messa alla prova.

Certificato selettivo e generale

Consistenti novità sono state apportate con il nuovo art. 28, D.P.R. n. 313/2002, rubricato «certificati richiesti dalle amministrazioni pubbliche e gestori di pubblici servizi», secondo il quale le pubbliche amministrazioni possono ottenere il certificato selettivo, quello generale, nonchéé i certificati di cui agli artt. 27 e 28-bis del Testo Unico.

Il certificato selettivo contiene le sole iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto pertinenti e rilevanti rispetto alle finalitàà istituzionali dell’amministrazione o del gestore.

Il certificato generale, invece, riporta tutte le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto ed è rilasciato quando non può procedersi, sulla base delle disposizioni che regolano i singoli procedimenti amministrativi, alla selezione delle iscrizioni pertinenti e rilevanti.

Per queste due tipologie di certificati è stata espressamente prescritta la non menzione dei seguenti provvedimenti: a) le condanne relative a contravvenzioni punibili con la sola ammenda e le condanne per reati estinti ai sensi dell’art. 197, comma 1, c.p.; b) le ordinanze di sospensione del procedimento con messa alla prova e le sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della stessa; c) i provvedimenti che dichiarano la non punibilitàà del soggetto ai sensi dell’art. 131- bis c.p.

Il nostro codice di rito prevede, inoltre, all’art. 236 c.p.p. la possibilità per il difensore di chiedere al Giudice di acquisire il certificato del casellario giudiziale al fine di valutare la credibilità di un testimone.

Alessandra Guarini – Avvocato in Biella

 

 

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