Le più recenti pronunce dei tribunali aprono la strada a tutele importanti per i pensionati in quota 100 che hanno svolto brevi prestazioni lavorative e subiscono la detrazione della pensione per l’intero anno solare.
La pensione Quota c.d. Quota 100, introdotto con il D.L. 4/2019 consente l’uscita anticipata dal mondo del lavoro a coloro i quali possiedono almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi.
Lo stesso decreto legge però unitamente a diverse circolari dell’INPS stabilisce un divieto assoluto di cumulo con redditi da lavoro dipendente o autonomo (fatta eccezione per il lavoro autonomo occasionale fino a € 5.000,00 annui).
L’istituto di nazionale di previdenza (INPS) con circolare n. 117/2019 afferma che la violazione, anche parziale, di tale divieto comporta la perdita totale della pensione Quota 100 per l’intero anno solare anche nel caso in cui il lavoro sia stato svolto occasionalmente per pochi giorni e/o per importi irrisori, comportando quale conseguenza il recupero da parte dell’ente di tutte le rate erogate nel corso dell’anno.
Sul punto vi sono diverse pronunce delle Corti superiori che confermano la legittimità di tale regime di impossibilità del cumulo dei redditi: con sentenza n, 234/2022 ribadisce difatti che il trattamento non è cumulabile e che anche un modesto reddito può comportare la sospensione dell’intera annualità.
L’assenza di una normativa sanzionatoria:
L’articolo 14 del D.L. 4/2019, che istituisce il regime “Quota 100”, contiene esclusivamente il divieto di cumulo tra pensione anticipata e redditi da lavoro, senza però alcuna previsione circa le conseguenze di una sua violazione. In particolare, stabilisce che fino al conseguimento della pensione di vecchiaia non sia consentito cumulare redditi da lavoro dipendente o autonomo (salvo il lavoro occasionale fino a 5.000 € annui), ma non disciplina né forme di sospensione del trattamento né modalità di recupero delle somme “indebitamente” percepite.
Il decreto-legge non menziona misure sanzionatorie – né penali né amministrative – né rinvii ad altre norme per definire sanzioni o decadenze del diritto in caso di incumulabilità, sul punto le uniche sanzioni in caso di violazione del divieto di cumulo sono fornite dall’INPS con la circolare n. 117/2019, che interpreta il divieto attribuendo all’ente il potere di sospendere l’erogazione e di recuperare tutte le rate dell’intero anno solare in cui si verifica la violazione. Tuttavia, poiché le circolari non hanno forza di legge e non possono introdurre sanzioni o decadenze non previste dal legislatore, l’applicazione di tali “penalità” si basa unicamente su un atto amministrativo interno dell’INPS, e non su una disciplina primariamente normativa. Ne deriva che la mancata previsione legislativa di una misura sanzionatoria rende controversa – e potenzialmente impugnabile – ogni richiesta di recupero integrale basata solo sulle circolari INPS, in assenza di un chiaro fondamento di legge.
Un’eccessiva penalizzazione?
L’applicazione automatica di una sanzione così gravosa solleva due ordini di critiche:
- Sproporzione rispetto al reddito percepito.
Bloccare un anno intero di pensione per poche decine o centinaia di euro percepiti in pochi giorni mina il principio di equilibrio tra sanzione e illecito. - Contrasto con la funzione previdenziale.
La pensione è un diritto acquisito in virtù dei contributi versati nel corso di decenni e non può trasformarsi in un mero strumento punitivo, dissolvendo la tutela assicurativa in favore dei beneficiari al primo reddito aggiuntivo
Considerazione sulla base mensile del sistema pensionistico e retributivo
Nel nostro ordinamento, sia la retribuzione lavorativa che il trattamento pensionistico si fondano su un principio di calcolo mensile. Le pensioni sono corrisposte su base mensile e così anche le retribuzioni, le contribuzioni e gli eventuali conguagli. Ne deriva che la logica del sistema previdenziale è strutturalmente fondata su periodi mensili e non annuali.
In questo quadro, non è ragionevole – né coerente con la struttura giuridica del sistema – che lo svolgimento di attività lavorativa per pochi giorni, in uno o più mesi, determini la perdita della pensione per un intero anno. Al contrario, se proprio si volesse applicare una decurtazione o sospensione, essa dovrebbe al più riguardare i soli mesi in cui è avvenuto il cumulo, come del resto già riconosciuto da autorevole giurisprudenza di merito.
L’orientamento garantistico dei Tribunali
Negli ultimi anni, diversi Tribunali del lavoro hanno respinto il regime di sospensione integrale ogniqualvolta il reddito sia modesto e di breve durata, invocando il principio di proporzionalità e il diritto alla previdenza sociale n particolare ritenendo che in presenza di violazioni minime e redditi irrisori sia del tutto INIQUO E SPROPORZIONATO, violando i principi di equità e proporzionalità.
- Il Tribunale di Lucca, 7 marzo 2023: il ricorrente percepiva Quota 100 e aveva lavorato per due giorni (incassando meno di €150). L’INPS chiedeva la restituzione di un’intera annualità di pensione. Il Tribunale di Lucca ha accolto il ricorso, osservando che la norma non prevede sanzioni esplicite e che richiedere il rimborso dell’intera pensione è «iniquo e sproporzionato». Di conseguenza, l’Istituto dovrà limitarsi a recuperare «i maggiori importi percepiti» a fronte del lavoro svolto, anziché sospendere tutto l’assegno.
- Il tribunale del lavoro di Rovereto con sentenza n. 3 del 6 Febbraio 2025 ha sostenuto che, contrariamente a quanto stabilito dalla Suprema Corte la violazione del divieto di cumulo debba essere sanzionata limitando la perdita pensionistica solo ai mesi in cui il soggetto ha percepito qualche reddito da lavoro dipendente. Nel caso di specie un pensionato con quota 100 aveva percepito la cifra irrisoria di € 205,00 per un’attività occasionale svolta in due brevi periodi. L’INPS chiedeva la restituzione di oltre 14.000 euro per il recupero della intera somma Il giudice ha disposto che la sospensione del trattamento pensionistico può avvenire solo nei mesi in cui è stato percepito un reddito, ritenendo l’interpretazione automatica contraria ai principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza.
In entrambi i casi secondo il Tribunale del lavoro la pretesa dell’Istituto non trova fondamento nella norma di legge, che si limita a prevedere l’incumulabilità senza stabilire la specifica sanzione. La conseguenza individuata dall’INPS è ritenuta iniqua e sproporzionata.
Queste pronunce privilegiano un’interpretazione flessibile: il divieto di cumulo serve a impedire la contemporanea percezione di pensione e redditi da lavoro, ma l’ente previdenziale dovrebbe recuperare solo l’importo effettivamente indebito (cioè la quota di pensione corrispondente al reddito ottenuto) anziché sospendere automaticamente tutta la pensione.
Con il D.L. 4/2019 il legislatore ha limitato la cumulabilità, non definendo però la misura della sanzione, il pensionato quota 100 matura un diritto acquisito dopo anni di lavoro e pertanto a fronte di una violazione minima volta in ogni caso ad una possibilità di un guadagno maggiore sottrare l’intero importo della pensione tradisce il principio di proporzionalità e di previdenza.
CONCLUSIONI
L’evoluzione giurisprudenziale dimostra che non è inevitabile perdere tutta la pensione Quota 100 per poche ore o giornate di lavoro. Chi subisce richieste di recupero integrale può far valere le pronunce garantistiche e ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla tutela previdenziale, limitando la sanzione al reddito effettivamente percepito.
Perché è importante difendersi
- Prevenire sanzioni sproporzionate: evitare il blocco totale della pensione per redditi modesti.
- Salvaguardare la funzione previdenziale: la pensione è un diritto acquisito, non una misura assistenziale da revocare indiscriminatamente.
- Far valere i principi costituzionali: ragionevolezza, proporzionalità e tutela sociale.
Dott. Tommaso Tito Lucchini – Studio legale Gabrielli
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